martedì 20 maggio 2008
solitudine
(foto di Sergio Circassia)
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Il diritto di gridare
Non ho voglia di aprire la bocca
di che cosa devo parlare?
che voglia o no, sono un’emarginata
come posso parlare del miele se porto il veleno in gola?
cosa devo piangere, cosa ridere,
cosa morire, cosa vivere?
io, in un angolo della prigionel
utto e rimpianto
io, nata invano con tutto l’amore in bocca.
Lo so, mio cuore, c’e stata la primavera e tempi di gioia
con le ali spezzate non posso volare
da tempo sto in silenzio, ma le canzoni non ho dimenticato
anche se il cuore non può che parlare del lutto
nella speranza di spezzare la gabbia, un giorno
libera da umiliazioni ed ebbra di canti
non sono il fragile pioppo che trema nell’aria
sono una figlia afgana, con il diritto di urlare.
Verdi passi della pioggia
Verdi passi della pioggia
lungo il cammino, qui
vita assetata, come un lungo deserto di sale e polvere
il loro respiro, riflesso dell’acqua, brucian
tegole secche e polverose
lungo il cammino, qui
fanciulle, avvezze al dolore, corpi scoiati
i volti defraudati della gioia
cuori vecchi e spaccati
nessun sorriso sulle labbra
nessuna lacrima dal fiume prosciugato dei loro occhidio!!
non so, raggiungerà il loro grido senza suono le nuvole
fino all’universo?
sono i verdi passi della pioggia
La più pallida
Non tormentarmi, la serratura del mio cuore è chiusa
La statua del tuo desiderio non si trova
Lo scrigno della tua gentilezza è grande, è grande
Non riesce a farsi strada nel mio corpicino
La via che ci sta davanti è formata da due linee parallele
Significa che la storia di me e te non diventerà di noi due
Non descrivere i miei tratti, non mi inganno
La farfalla dalle ali bruciate non diventa bella
E’ inutile, non darmi speranza
Un cipresso che si è trasformato in ceppo non si innalza
Forse sei diventato il Messia, non colpire
Il dolore che va dritto al cuore, non è duraturo
La parola più pallida della raccolta è la mia vita
Nell’illeggibile scrittura curva e sottile
Lascia che non sia letta e muoia sconosciuta
Questa parola maledetta e senza senso.
Il canto più triste
Divento fumo nello spazio del mio credo
Lentamente mi avvolgo e mi anniento
Finché vengo allevata dalle mani dell’ansia
Nell’abisso del cuore i miei battiti aumentano
E quel battito intende conoscere la terra della fossa del tardi
Mi preparo al momento trascorso
A volte dall’amore arido e dal buon miraggio di una nuvola
Mi trasformo nel più arido deserto salato
Ma l’immaginazione dei miei occhi mi trasforma in acqua
Nel letto della morte per sete, mi trasformo in ruscello
Se arriva a me il capo di uno dei fili della speranza
Divento l’ordito nella sottile trama del cuore
Questo se n’è andato senza commiato, l’immaginazione mi porta via
Sono ancora io che mi riempio di ricordi
Anche la notte un po’ alla volta va per la sua strada e io
Divento il più triste canto d’addio
Nadia Anjuman
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